venerdì 2 ottobre 2009

La sicurezza e il giudizio

La violenza va condannata, tutti ne siamo d’accordo.

Solo che a volte si tende a giustificare. “La violenza viene provocata”. E giù tutti a cercare le colpe.

Siamo divisi in questo caso tra coloro che vogliono assumersi presso loro stessi le responsabilità di una società allo sbando e gli altri che invece dicono: “Ma chi se ne frega? Non è un problema mio”.

Beh, quante volte per strada abbiamo visto la gente picchiarsi e facciamo capannello per goderci il match che ci si presenta così succulento, un’occasione più unica che rara dal momento che non abbiamo nemmeno pagato il biglietto per assistere a cotanto spettacolo.

Ma non muoviamo un dito. Al mio paese un proverbio dialettale dice “chi divide i litiganti ottiene la parte peggiore”. Certamente ci costerebbe tanta fatica intervenire perché ci impicciamo degli affari altrui, perché è meglio mantenere il quieto vivere e rapporti buoni con tutti, perché domani potremmo incontrare quelle persone per strada, magari entrare nella loro vita. E, si sa, quando vogliono le persone hanno la memoria lunga.

Eppure è così facile dare giudizi e condanne, siamo tutti magistrati non retribuiti e in pochi sappiamo essere avvocati, quando talvolta la natura umana in quanto poco stabile e coerente con sé stessa ne avrebbe davvero bisogno.

Però proprio non sopporto certi giudizi.

Quando una donna viene stuprata sento spesso dire: “Poverina, però la colpa oggiogiorno è delle donne, vanno in giro vestite in modo troppo provocante”. E’ come dire che dovremmo scagionare il ladro che viene a rubarci in casa solo perché non ci siamo muniti di porte blindate e di inferriate alle finestre. E’ vero che la sicurezza costa ma è anche vero che chi commette reati del genere non va mai giustificato, bensì punito e poi rieducato.

Per non parlare di quando diamo un giudizio su fatti di cronaca. Vorremmo mettere alla gogna tutti quanti quando sentiamo di persone barbaramente uccise. Sì, d’accordo, è sempre il primo impulso quello della rabbia e conseguentemente della nostra vicinanza ai parenti delle vittime.

Ma alla fine occorre fare un discorso che segua un po’ meno l’onda emotiva, che sia quantomeno razionale. Vogliamo farci giustizia da soli? E chi siamo, un esercito di Rambo? La vita umana in ogni caso è un diritto inalienabile, non possiamo sempre ergerci a giudici e non possiamo organizzare dei baratti ideologici con le vite degli uomini che nessuno purtroppo ridarà più alle loro famiglie.

lunedì 28 settembre 2009

Democrazia e libertà?

“Non puoi tu cambiare il mondo.

Abbiamo sempre fatto così e ci siamo trovati bene.”

Sì, ma perché allora vi lamentate? Quindi le cose non vanno così bene!

Ci sono sempre più strade per arrivare dal punto A al B. Facciamo la più corta? Non è detto, perché se tutti scegliamo quella strada andiamo incontro all’ingorgo. Non è necessariamente sul risparmio di denaro né tanto meno di tempo che dobbiamo fare le nostre scelte. Facciamo la strada che fanno tutti quanti? Allora possiamo morire ma la via d’uscita non sarà mai a nostra portata di mano.

Cosa voglio dire con questo? Che non sempre quello che ci viene in mente per primo è la soluzione ottimale per tutti i problemi. Nè è quello che pensa la maggior parte delle persone.

Soprattutto per i problemi umani. Costa fatica e sudore affrontarli. Per non parlare di una soluzione. Ma in molti ci proviamo ed è pure giusto che lo facciamo. Nessuno può dirsi esperto in assoluto in tali questioni, ma è bello sapere che c’è chi dedica le proprie giornate a sbatterci la testa.

Certo, al dilagare della delinquenza non riusciamo ad opporre facilmente resistenza. Qual è il risultato? Che iniziamo ad invocare la pena di morte. O meglio, lo fa un sacco di gente, non io. A questo punto, se tutti vogliono che si attui un provvedimento, dobbiamo farlo? La maggioranza veramente vince sempre?

No, ma dico, se uno Stato civile condanna un delitto, può macchiarsi della stessa colpa che sta condannando? Uccidere non è comunque sbagliato? E lo è sia che lo faccia una persona sia che ne sancisca l’opportunità un’intera comunità.

E’ giusto che in una democrazia abbiano tutti libertà di parola e il popolo sovrano abbia potere decisionale? Anche quando questa libertà e questo potere ammazzano le persone e quindi minano la libertà di esistenza e di espressione di qualsiasi altro essere umano, chiunque egli sia? Non è il diritto alla vita un bene inalienabile?

mercoledì 23 settembre 2009

La vendetta di Topo Gigio

Non sono mai riuscito a spegnere del tutto la televisione. E forse non ci riuscirò mai, abituato come sono a vederla sin da quando ero bambino.

Sono cresciuto a pane e televisione, mi sono formato con i cartoni animati, gli sceneggiati, i quiz di Mike e i varietà di Baudo, Sanremo e lo Zecchino d’oro. In seguito ho avuto una formazione socio-culturale che mi avrebbe suggerito di prendere le distanze dai ricordi dell’infanzia, ma quelli niente, non vanno via nemmeno se li lavi con l’acido muriatico.

Ecco, onnipresente nel palinsesto paleotelevisivo era una figura di roditore. Sempre lui, sempre sorridente, sempre con la voce più imitata della penisola italiana. Lo imitano anche quando non vogliono: quando cercano di riprodurre la voce di Renato Zero quasi sempre spunta la sua voce, soprattutto quando la canzone cerca di accarezzare le note più basse.

Parlo di Topo Gigio, ospite occasionale a Canzonissima, Sanremo, Rischiatutto, Fantastico, lo Zecchino, Porta a Porta, insomma, dovunque ci fosse bisogno di un’autorevole voce fuori dal coro che commentasse le varie opinioni sui fatti politico-sociali del momento con un sonoro “Ma cosa mi dici mai????”.

Citatissimo da film d’essai come Tre uomini e una gamba e in una canzone di Vasco Rossi, presentatore assieme alla Carrà e Pupo.

Era un po’ che non lo vedevo comparire dentro il mio piccolo muro di vetro. E ieri ad un certo punto, mentre ero impegnato in una delicatissima operazione di riordinamento della mia camera da letto, eccolo annunciato da Antonella Clerici dopo la comparsa del capitano Stubing (si scrive così???) della Love Boat.

Era suggestivo il contrasto tra il capitano vecchio provolone sdentato e il topo sempre tirato a lucido. Eppure mi aspettavo quest’ultimo incedere accompagnato da due stampelle, con la barba lunga e gli occhialini coi fondi di bottiglia visto che, citando mia madre, “ero piccolino io e lui già era vecchio”. Invece il grande topo è più in forma che mai dopo 30 anni e passa che lo seguo ed è proprio il caso di dire che “la plastica fa miracoli”!!!

Me lo sono sognato stanotte, Topo Gigio. Usciva dal televisore mentre dormivo, entrava nel frigorifero e si abbarbicava come un assatanato a quel piccolo pezzo di gorgonzola che mi è rimasto, tanto da sottrargli persino quel dolce fetore che gli dà sapore.

No, ti prego, caro Topo, rimani dentro la televisione, impugna una spada, fatti aiutare da Goldrake con le lame rotanti, i missili perforanti e l’alabarda spaziale o da Sandokan con la scimitarra e manda via i Power Rangers, i Pokemon e i Gormiti. La tua esperienza in televisione ci è utile come quella, nella politica, di Cavour e Mazzini insieme. Assieme al Mago Zurlì, Calimero e il Signor Bonaventura per una televisione più signorile. E non è detto che sia anacronistico pretenderlo

lunedì 21 settembre 2009

La luna sotto i piedi

"Oh tu, che mi guardi così, non sei che il riflesso di lei che vien da lassù"

E’ vero, siamo abituati a vederla con il suo sontuoso e luminoso abito da sera. Intenta a donare il colore al nostro buio serale. A dar luce sia agli innamorati adagiati l’uno sull’altro che agli ubriachi con la loro bottiglia di whisky vuota sulle panchine, a dare la direzione a chi si perde per strada sulle strade poco illuminate.

Lei, che dà un’immagine di tristezza quando la si contrappone al Sole che tutto sorridente e festoso dà il ritmo alle nostre giornate.

Eppure c’è chi dice di averla vista in orbita, che si aspettava una sorta di paradiso, la vera e propria rappresentazione fisica del mondo onirico evocato nonché descritto da filosofi e psicologi. E che invece deluso ce ne rimanda indietro un’immagine piena di bitorzoli e imperfezioni varie.

C’è chi non contento dice che non è lei quella che hanno filmato, su cui astronauti quattro decadi or sono hanno passeggiato per alcuni istanti immortalati e diffusi in tutto il mondo. C’è chi dice che manipolano la nostra informazione, le nostre coscienze per conservare a pochi il segreto di stato o per mascherare la delusione di non aver conseguito un’impresa storica, che “avrebbe cambiato le sorti dell’umanità”. Certo che dopo quello sbarco c’erano da aspettarsi stazioni spaziali, alberghi, viaggi verso mondo remoti e lontanissimi, un nuovo turismo e gli sforzi economici dei più potenti imprenditori protesi verso questo nuovo orizzonte.

Niente di tutto ciò. Eppure ne hanno risentito l’immagine poetica, il fascino che ha ispirato innumerevoli canzoni, quadri, film, libri, le leggende nate da una certa inquietante associazione della luna piena con presunte mostruosità umane.

Io invece la vedo negli occhi di chi ha bisogno di noi, dell’operaio quando rivendica maggiori diritti sul lavoro oppure della signora anziana che ritira la pensione. Ma anche nel pedone di cui spesso prevarichiamo i diritti non fermandoci alle strisce pedonali quando invece lo facciamo passare. Nel sorriso sincero di chi divertiamo con le nostre battute o con i nostri strafalcioni, nello sguardo luminoso di chi ci è grato quando gli facciamo un favore. Nel bambino quando gli insegniamo la poesia della vita (grazie signor G). Nell’artista di strada che allieta le nostre serate senza tante pretese, solo quella di vederla anche dentro di noi, dentro i nostri occhi, la Luna che splende e sorride

mercoledì 16 settembre 2009

Nonviolenza e disobbedienza civile

« La massa degli uomini serve lo Stato in questo modo, non come uomini soprattutto, bensì come macchine, con i propri corpi. Essi formano l'esercito permanente, e la milizia, i secondini, i poliziotti, i posse comitatus, ecc. Nella maggior parte dei casi non v'è alcun libero esercizio della facoltà di giudizio o del senso morale; invece si mettono allo stesso livello del legno e della terra e delle pietre, e forse si possono fabbricare uomini di legno che serviranno altrettanto bene allo scopo. Uomini del genere non incutono maggior rispetto che se fossero di paglia o di sterco. Hanno lo stesso tipo di valore dei cavalli e dei cani. Tuttavia persino esseri simili sono comunemente stimati dei buoni cittadini. Altri, come la maggior parte dei legislatori, dei politici, degli avvocati, dei ministri del culto, e dei funzionari statali, servono lo Stato principalmente con le proprie teste; e, dato che raramente fanno delle distinzioni morali, sono pronti a servire nello stesso tempo il diavolo, pur senza volerlo, e Dio. »

(Henry David Thoreau, Disobbedienza civile)

Io sono cristiano, cattolico credente e praticante. Ma penso che il discorso non cambierebbe di una virgola se mi professassi agnostico, aconfessionale o addirittura ateo. Salvo poi accorgermi che la prima istituzione al mondo che sbandiera ai quattro venti il nome di Dio dispone di un esercito attrezzato a tutti gli effetti per la difesa del territorio qualora qualche cane infedele dovesse infestarglielo.

Vabbè lasciamo perdere quest’ultima digressione, magari ne parliamo in un’altra occasione e torniamo al vero oggetto della mia riflessione di oggi.

Chi è al mondo vuole vivere bene. Punto.

Ogni persona che incontriamo ha questa esigenza. A parte casi sporadici (suicidi) non penso che ci sia qualcuno cui farebbe piacere andare incontro alla morte.

E questo vale per l’italiano come per l’americano, per il marocchino, il palestinese, l’argentino, il cinese. Giusto per citare qualcuno a casaccio, ma un’etnia vale quanto l’altra. Una vita vale allo stesso modo di un’altra, anzi allo stesso modo sono incommensurabili.

Chi decide allora se ammazzare gli iracheni o gli afghani? Chi decide di entrare in guerra contro i coreani del Nord? E in base a che cosa? Esiste forse un motivo plausibile? Non è più importante la singola vita umana di tutti gli interessi economici che possiamo avere?

Ma, soprattutto, se uno statista decide che è giusto entrare in guerra dobbiamo per forza obbedirgli? Al limite ci va lui a combattere: non sarebbe nemmeno giusto però se proprio si vogliono ascoltare certe luride ragioni, ammesso che sia il caso di chiamarle tali, almeno isoliamolo nel suo delirio.

Ritengo che le posizioni di chi definisce “missioni di pace” l’invio di militari professionisti in altre nazioni per ristabilire un presunto ordine non vadano prese in considerazione in una società che voglia dirsi civile. Chiunque provi a mettere a casa propria dei carabinieri per essere sorvegliato: dite che si vivrebbe in modo sereno? Io non credo.

martedì 15 settembre 2009

Destra/Sinistra? Io vado oltre!

“Ma cos’è la destra? Cos’è la sinistra?”. Cantava così un grande della musica italiana, oggi scomparso, qualche anno fa.

E credo che lui a queste domande avrebbe risposto come faccio io.

Cioè nulla. O meglio niente che sia rilevante per la nostra vita, niente che si renda indispensabile alle nostre funzioni vitali, niente per cui io possa alzarmi la mattina e decidere di cambiare il mondo.

Sì, è vero, in nome di alcuni ideali si sono combattute certe battaglie negli anni passati. E si sono ottenuti dei risultati al prezzo di sangue e sudore. Le classi più deboli economicamente, fisicamente, socialmente hanno ottenuto di essere maggiormente tutelate dal sistema proprio perché qualcuno ha sostenuto, divulgato, propugnato determinate idee.

Io non voglio rinnegare tutto ciò. Dico solo che il mondo però va avanti. Così come non si può certo rimanere ai principi medioevali di sudditanza al padrone. Questo vuol dire che una nuova concezione della politica e del mondo in generale dovrebbe farsi largo perché non si può restare ancorati a concetti che vogliono potenti e servi, che i primi possono disporre dei secondi come pare e piace a loro.

La storia deve comunque servirci a non commettere gli stessi errori. E deve servirci a collaborare, non a dividerci. Se andiamo a studiare le premesse da cui muovono tutte le teorie politico-filosofiche moderne leggeremo che sia destra che sinistra partono dallo stesso punto. Solo che a un certo punto cominciano a divergere, forse quando si pensa alla difesa del territorio e al concetto di identità nazionale. A me sembra che la differenza maggiore sia nel fatto che la destra punta all’esaperazione delle differenze tra un popolo e l’altro mentre la sinistra vorrebbe una maggiore integrazione, ferma restando la difesa delle tradizioni locali.

E’ vero, lo ammetto, dal punto di vista ideologico sono sempre stato un po’ spostato a sinistra, ma oggi la mia posizione cambia nel senso che questi concetti mi sembrano superati.

Sarà difficile ma a mio avviso occorre fare in modo che tutti coloro la cui unica preoccupazione è volere condizioni sociali migliori per i lavoratori, maggiore cura nell’educazione dei figli, una sanità che riesca a far sì che non dobbiamo spendere milioni e milioni anche per un insignificante intervento al dito piccolo del piede, dei salari che ci permettano di comprare una casa senza doverci ammazzare di debiti e rinunciare a tante altre spese, si incontrino e mettano da parte tutte le barriere.

In fondo chi di noi vuole alzarsi la mattina e andare a manifestare in piazza per i propri diritti, urlando talvolta il proprio dissenso (ma senza ricorrere a metodi fisicamente violenti, io non li ammetto)? Nessuno se non è esasperato da uno status sociale che ci impedisce di garantire un futuro per i nostri figli.

venerdì 11 settembre 2009

Proposte per un nuovo sistema elettorale

Non saremo cittadini che hanno esperienza in campo politico, non avremo studiato diritto né mastichiamo i principi della Costituzione, ma non penso che ci sia nulla di male nel formulare delle proposte, sensate o no, su un sistema elettorale e di delega alle importanti decisioni che riguardano un po’ tutti noi.

E io non vorrò mica privare nessuno del piacere di leggere la mia! Nooooooooo! Comunque prometto che prenderò visione anche di eventuali proposte del genere che dovessero arrivare a mia conoscenza.

Innanzitutto ci lamentiamo tutti dell’elevato numero di parlamentari e dello stipendio non certo esiguo che ciascuno di loro percepisce. Io però non penso che sia un’obiezione questa per due motivi: 1) il paese in cui viviamo non si può certo definire piccolo e la proporzione di delega di alcune centinaia su decine di milioni mi sembra abbastanza ragionevole; 2) la responsabilità di compiere scelte cruciali per il nostro benessere merita una retribuzione quantomeno cospicua.

Il bicameralismo va bene , non mi sembra che ci siano motivi validi per sostituire questo sistema.

Invece occorre stabilire regole nuove per l’eleggibilità dei candidati:

1) Il candidato dovrà avere la fedina penale intonsa e non dovrà risultare iscritto nel registro degli indagati di alcuna Procura della Repubblica.

2) Il candidato dovrà abbandonare ogni incarico e dovrà sospendere ogni rapporto di lavoro. Dovrà inoltre uscire dal consiglio di amministrazione di qualsiasi società e durante tutto l’incarico che ricopre al Parlamento non percepire alcun dividendo qualora se ne decidesse la distribuzione. Un modello del genere rievoca un po’ il servizio di leva obbligatorio in vigore fino a qualche anno fa: tutti gli uomini che fossero stati idonei alle visite di leva per un anno sospendono le loro attività lavorative e studentesche e dedicano la loro vita allo Stato.

3) Non si potrà essere rieletti dopo due mandati di 5 anni, così si evita di stare attaccati alla poltrona molto a lungo: anche perché dopo un po’ di tempo la demenza senile non risparmia nessuno e noi invece abbiamo bisogno di gente sveglia a rappresentarci.

Qualcuno dirà: ma con queste regole a chi conviene candidarsi?

A nessuno, direi io, ma a quel punto puntuale arriverebbe la replica: e allora non si candiderà nessuno. Bene, in questo caso, verranno sorteggiate delle persone che non siano portatrici di invalidità mentale e verrà stilata una lista, con un criterio simile a quello della scelta degli scrutatori per le operazioni di comune consultazione elettorale.

Forse tutto ciò è abbastanza delirante. Ma se vogliamo cambiare le regole perché ci stanno strette da qualcosa bisogna partire.

giovedì 10 settembre 2009

Caro professore (ma anche no...)

Una volta essere professore era possedere un titolo di benemerenza, di rispetto. Oh Dio, incuteva pure timore la parola Maestro, lo ammetto, ma allo stesso tempo parlavi dell’insegnante come di una persona di cui fidarsi, dalla quale non ti saresti mai potuto aspettare che ti facesse del male.

Ed essere insegnante significava anche essere ben retribuito rispetto alla media delle persone.

C’era chi guardava alla condizione del docente con invidia: l’italiano medio diceva che in fondo lavorano solo mezza giornata, che hanno tre mesi di ferie. E bla bla bla.

Senza pensare pero’ che hanno una responsabilita’ sulla vita umana cui e’ paragonabile solo quella dei medici (e degli infermieri assieme a loro) e dei genitori.

A parte il fatto che non e’ vero che lavorano mezza giornata: mezza giornata serve per fare lezione, l’altra meta’ per prepararla, per fare consigli di classe, per correggere gli scritti. E non e’ vero nemmeno che devono fare tre mesi di ferie.

Ma poi vogliamo considerare gli effetti di cattivi maestri? Soprattutto quelli della scuola elementare...Sono gli insegnanti che cominciano a modellare la forma mentis della persona, di quella che sara’ presumibilmente la classe dirigente del futuro o comunque quella che dovra’ spendere sangue e sudore nel proprio lavoro per portare a casa quattro soldi e mantenere cosi’ la propria famiglia, con tutti i bisogni e gli eventuali capricci che i bambini portano con loro.

Quello che mi chiedo e’ come mai il mercato oggi non tenga conto di questo. Quello che mi chiedo e’ per quale motivo la maggior parte degli insegnanti guadagna intorno ai mille euro, anche in grandi citta’ dove il costo della vita e’ piuttosto elevato. Me lo chiedo anche perche’ sarebbe stato il sogno della mia vita fare questo mestiere ma proprio per questo ho dovuto rinunciarvi.

E mi chiedo per quale motivo ogni volta che lo Stato e’ costretto a chiedere soldi in piu’, il primo settore in cui taglia sia sempre la scuola. Per questo non ho soluzioni, a parte riconoscere che il liberismo selvaggio e’ stato un fallimento.

Io dico grazie soprattutto alla scuola e ad alcuni docenti illuminati (non troppi peraltro) che hanno accompagnato la mia formazione dalle elementari alle superiori se oggi ho i mezzi per essere libero di ragionare senza farmi imboccare da mezzi come la televisione, che qualcuno vorrebbe far diventare la balia dei nostri figli.

lunedì 7 settembre 2009

La debolezza nella dimostrazione della potenza

Cammino per strada.
Di colpo arriva una sirena o, peggio, un clacson come un colpo di fucile nelle mie orecchie.
Si', forse sto invecchiando, penso. Perche' io non sopporto il suono del clacson se e' vicino a me.
Che io sia assorto nei miei pensieri o che stia parlando con qualcuno: in quest'ultimo caso il clacson tende a distrarmi completamente dal mio ragionamento e sono costretto a ricominciare il mio discorso, quando riesco a rintracciare le fila del mio flusso di coscienza cosi' come era prima.
E' un problema mio, mi dicono. O me lo dice la mia coscienza.
E non so mica invece se il problema e' mio!
Mi chiedo se non siano segnali di barbarie della nostra civilta' l'urlare, il correre, il picchiare.
Segnali con cui l'essere umano si sente gladiatore, potente e cosi' vuole mostrare al mondo quanto e' bello e forte.
Il problema e' quando non riesce in questo intento perche' diventa intrattabile. E proprio a tale proposito si diventa insofferenti ad ogni tipo di legge che imponga limiti e vincoli alla sua voglia di "sana violenza".
Peccato che poi basti un nonnulla per trasformare il desiderio di mostrare i muscoli e alzare la voce in una catastrofe. E spesso i confini tra la prodezza e il pericolo sono cosi' sottili. Lo dimostra anche il numero sempre maggiore di incidenti stradali.
Credo che sarebbe invece piu' sano coltivare ed esercitare la pazienza e scegliere nei propri comportamenti la percezione della presenza dell'altro. Credo che anche le persone presso cui si vuole far colpo apprezzerebbero maggiormente.

venerdì 4 settembre 2009

Il pesce puzza dalla testa

Non c’è più spazio per termini come solidarietà, cooperazione, rispetto per gli ultimi in un mondo in cui prevale la logica della prevaricazione, del primeggiare a tutti i costi, del vantarsi di “farla in barba a tutti”.

Chi cerca il dialogo è considerato un debole, chi vuole una vita migliore per i più deboli è considerato un ipocrita. E c’è chi si affanna a precisare che non è giusto che il figlio dell’operaio sia trattato allo stesso modo del figlio del dottore.

Concetti da Medioevo, tali da farmi pensare che sia una tristezza che al progresso tecnologico non si accompagni un progresso mentale.

Mi dispiace ma per me tutti nasciamo uguali: il sangue che scorre nelle nostre vene non è più o meno dolce o salato, più o meno rosso o blu e le modalità di respirazione sono le stesse, che siamo figli di un operatore ecologico o del presidente del consiglio.

Io sono per la distribuzione della ricchezza: se io lavoro e tu lavori, non mi sembra giusto che tu guadagni venti milioni di euro l’anno e io non arrivo a ventimila. Dimmi pure che sono comunista. Dimmi pure che questa è utopia.

Ma non mi dire che questa è l’immutabile legge del mercato perché quella che affermo io è la legge della natura. Fanno sì l’opinione pubblica i pensieri vincenti come il tuo, che vogliono mettere il bavaglio a chi la pensa diversamente, per il bene di tutti quanti.

Queste logiche tendono a far regredire il mondo ad un sistema in cui valgono i diritti acquisiti per ereditarietà. Intendiamoci però, non penso che sia del tutto sbagliato che ci sia chi guadagna di più e chi meno, ma è la sproporzione che non va bene, che è espressione di una società feudale.

A questo punto ben venga la forte tassazione dei guadagni dei grandi manager: è veramente questo il modo per uscire dalla crisi.

Il pesce puzza dalla testa, l’ho già detto. E tagliamogliela!

giovedì 3 settembre 2009

L'immagine e l'impegno

Sono un utente di Facebook. Mi piace molto usarlo e ritengo che sia un ottimo modo per non perdere di vista i nostri amici.

“Se hai Facebook allora perché usare un altro sito per comunicare, un altro blog?”.

Non è per perdere tempo ma ritengo che FB sia la vetrina, mentre il mio blog è un negozio. E FB ha dei limiti, non mi consente di esprimere i miei pensieri in libertà più o meno lunghi.

Insomma, uso Facebook per il cazzeggio e questo spazio per il frutto della mia attività di immaginazione e per il mio esercizio di scrittura, come se fosse un libro a puntate.

Adesso questa mia creazione sta muovendo i primi passi, è già tanto che abbia ricevuto qualche commento. Ma vorrei crescere anch’io con lei, vorrei non limitarmi a postare qualche considerazione semantica oppure ontologica ma provare ad abbozzare le mie proposte per vivere meglio.

“Ma sei un presuntuoso! Pretendi tu di voler cambiare il mondo?”

Beh, alzi la mano chi di noi non ha mai avanzato le proprie proposte per un mondo migliore. Ad esempio quanti di noi non hanno mai detto che se la finanza facesse controlli più accurati l’evasione fiscale diminuirebbe? E quanti non hanno detto che ci vorrebbe un carcere più duro e più severo per i delinquenti (non prendo in considerazione chi parla di pena di morte perché non è un metodo degno di una società civile)? Queste non sono forse proposte che si sentono spesso da molti di noi?

“Beh ma tu metti le mani avanti”

Esatto, perché spesso mi hanno accusato di essere un sognatore, un idealista. A volte anche comunista. Nell’ultimo caso non è vero, ma non mi sembra una gran colpa.

Comunque ho deciso che per ogni concetto che esprimo da oggi in poi la parte destruens non andrà separata dalla construens. Ogni volta che avrò delle obiezioni da fare a qualcuno voglio accompagnarle a proposizioni di mio pugno, in qualunque campo ciò avvenga. A meno che non stiamo palesemente parlando di deliri universalmente riconosciuti.

Sarà bene cominciare ad usare il cervello. La vocazione a mettere me stesso a disposizione degli altri è diventata forte.

mercoledì 2 settembre 2009

Il gusto artistico

Il gusto individuale è qualcosa di indefinibile. Non si capisce a quali regole obbedisca e spesso non può nemmeno essere definito coerente con sé stesso.

E’ vero che gli antichi dicevano “De gustibus non disputandum est”. Cioè non si possono innescare diatribe sulla base di un gusto per qualcosa.

Eppure però si definisce un buono ed un cattivo gusto. Ci sarà un motivo se un quadro di Picasso vale infinitamente più di un disegnino che posso fare io che non sono nemmeno tanto bravo. Ma senza fare questi paragoni decisamente assurdi chi potrebbe dire che una canzoncina di Gigi D’Alessio ha un valore artistico oggettivo superiore al Requiem di Mozart? E, uscendo dal campo artistico, chi direbbe mai che Rosa Russo Iervolino sia più bella di Monica Bellucci?

Ecco, sono stati definiti e discussi dei canoni del bello da un’intera letteratura di filosofia, da Aristotele ad Adorno e forse ancora oltre. E in base a quelli scegliamo di vedere un film anziché un altro, anche se in questo caso c’è di fondo un pregiudizio, naturale perché non possiamo certo spendere tutto il nostro stipendio né gran parte del nostro tempo per vedere tutti i film.

Spesso infatti ci sentiamo dire “Bello quel film”, dopo che scegliendo i film da vedere abbiamo scartato proprio quello. A quel punto potremmo ribattere: “Non mi interessa”, cui seguirebbe un commento del tipo “Ma l’hai visto?”. Scusami, ma io vedo tutti i film del mondo? Ecco perché dico che alla base del gusto c’è sempre un pregiudizio di fondo.

Altra questione: il gusto è del tutto scevro da manovre o da strategie di mercato? Io penso di no. C’è sempre un’elite di persone che decide quale pezzo deve essere proposto in radio o in televisione e queste decisioni spesso sono frutto di riunioni a tavolino e dettate dalle mode, per cui diventa molto difficile proporre qualcosa di veramente innovativo. Questo è il motivo per cui ad esempio Eros Ramazzotti fa le stesse canzoni da più di 20 anni eppure ha uno stuolo di fan che non finisce mai. D’altro canto se non esiste alcun programma televisivo o radiofonico che promuova la novità, l’utente medio non potrà mai riuscire a fruirne.

Questi sono tanti dei motivi per i quali a livello artistico il progresso è parecchio lento. A meno che non crediamo davvero che Internet, con le sue immense potenzialità e con le magnifiche innovazioni che ha portato nell’ambiente dei media, si faccia carico di promuovere l’arte senza farla passare attraverso il setaccio di personaggi con un occhio al prodotto e l’altro al portafogli, per cui vendere un quadro di Mirò è come vendere una partita di detersivi.

Un mio amico diceva qualche settimana fa: “Per informarsi su Internet occorre lo stesso sforzo che ci vuole per pilotare un aereo, per informarsi in tv lo sforzo invece è pressoché nullo”. Non aveva tutti i torti, almeno per come vanno le cose attualmente. Però io sono convinto e nessuno mi toglie dalla testa che Internet ci aiuterà a costruire un mondo nuovo.

martedì 1 settembre 2009

Crescita e libertà

Crescere è saper guardare l’altro negli occhi.

Senza aver paura di cosa possa pensare, senza dover necessariamente entrare in competizione. In una società sana la gara ha senso solo in termini sportivi, in una società in salute tutti gli esseri viventi riescono a procurarsi i mezzi per sostentarsi solo uscendo di casa.

La vita è incontro e lo scontro è la cosa meno naturale che ci sia. Le calamità naturali vanno affrontate tenendo in mente che possono servirci e che non necessariamente debbano tornare a nostro svantaggio.

Parlo di noi e di nostro come se al mondo gli esseri umani facessero tutti parte di un solo gruppo: appunto, gli esseri umani. Ed è così e solo pensando che ciò sia vero possiamo vivere meglio. Vivere meglio significa stare tutti noi bene. Nessuno escluso.

Crescere è trovare la libertà di dire quello che vogliamo a patto che non intacchi la tensione alla vita e alla libertà di qualunque altro essere umano. Si dice che la mia libertà finisce là dove comincia la tua: e nulla è più vero di ciò, abbiamo tutti gli stessi diritti e la civiltà si fonda sulla percezione dell’altro, dei suoi bisogni e dei suoi desideri.

Non è libertà arrogare a sè il diritto di non riconoscere il diritto di esistere a chi è diverso da noi. Non è libertà respingere indiscriminatamente l’immigrato o insultare e addirittura picchiare i gay. Non è nemmeno libertà trovare innumerevoli scappatoie legali per non pagare una multa o per evadere le tasse. E d’altra parte non è nemmeno libertà che le leggi possano essere soggette ad equivocazioni o comunque a molteplici interpretazioni. Un popolo libero non ha bisogno di avvocati semplicemente per interpretare il testo di una legge, ma la capisce perché è quello lo scopo di un testo scritto per il bene della gente che ne deve fruire i contenuti.

Crescere è sentirmi libero di gridare volta per volta la mia gioia o il mio dissenso.

venerdì 28 agosto 2009

Il mio nuovo blog

Serviva un nuovo blog?

Non so a voi ma a me si'. Sto pensando a quella sterminatissima folla di persone che avranno l'ardire di leggere i miei post, che scrivero' in tutta liberta' seguendo solo quello che passa per la mia testa nel momento in cui mi accingo all'arduo compito della scrittura giornaliera. Magari centomila anime o quattro (di numero) zanzare curiose.

Gia', perche' ho voglia, per quanto mi sara' possibile, di scrivere un post al di', come se me l'avesse ordinato il medico. Non credo sicuramente di mantenere questo ritmo, anche perche' durante i weekend e' piu' facile che io non accenda il pc.

Prima di aprire le nuove pubblicazioni e' lecito che mi vengano rivolte due domande: 1) ma tu chi sei? 2) cosa scrivi su questo spazio?

E io, che assumo sul mio groppone la presunzione di essere oppure quantomeno apparire una persona educata, rispondo:

1) sono una vecchia volpe del web, passo molte ore al giorno davanti al pc visto che il mio lavoro di informatico mi procura i mezzi di sostentamento per vivere e mi piace scrivere tanto quanto leggere: non perdo mai la voglia di imparare e ritengo che ciascuno di noi ha sempre cose da insegnare a tutti, quindi penso che sia giusto non snobbare le persone con cui veniamo a contatto nella nostra vita;

2) voglio parlare di tutto cio' che in me suscita la voglia di impegnarmi a livello sociale, politico, culturale e voglio descrivere i problemi che ci si presentano davanti e nel momento in cui magari avanzo critiche mi piacerebbe indicare la soluzione, la' dove penso di averne una: esprimere comunque il mio modesto parere nei riguardi delle cose che mi interessano di piu'.

Questo blog e' rivolto a tutte le persone che non hanno perso la voglia di credere in un mondo migliore, perche' io sono convinto che possa esistere.

Questo post e' stato un prologo, il numero zero del blog. A partire dal 1° settembre ho intenzione di cominciare le pubblicazioni ufficiali.

A presto!